Su Il Fatto Alimentare è emersa una domanda interessante da parte di un utente riguardo ai polli malati venduti presso un noto supermercato. L’utente si chiedeva se fosse sicuro consumare carne di pollo acquistata da Aldi, citando un articolo che parlava di polli malati. Questa preoccupazione è comprensibile, considerando l’importanza della sicurezza alimentare. Approfondiamo meglio l’argomento.
Polli malati venduti nei supermercati (ustioni e strisce bianche sulla carne), questi sono i famosi discount coinvolti: è allarme!
La problematica delle striature bianche nei petti di pollo, nota come white striping, e delle ustioni sulle cosce vendute presso il supermercato Aldi con il marchio Il Podere rispecchia le segnalazioni di un’altra consumatrice riguardo ai supermercati Eurospin e Unes. È importante notare che i petti di pollo Aldi marchiati Il Podere provengono dalla stessa cooperativa, la Carnj Società Cooperativa Agricola, che fornisce anche altre catene come Esselunga, Carrefour e ha legami con Fileni. Questo solleva ulteriori questioni riguardo alla qualità e alle pratiche di allevamento utilizzate dalla cooperativa.
La problematica coinvolge i polli broiler, sottoposti a un’allevamento intensivo per accelerarne la crescita, spesso manifestando segni comuni come le striature bianche e le ustioni cutanee. È logico supporre che queste problematiche si riscontrino anche nei polli venduti presso diverse catene di supermercati. Infatti, è possibile affermare che i polli in vendita da Aldi, Eurospin e Unes presentino caratteristiche sostanzialmente simili a quelli offerti nei supermercati di varie città del mondo, da Bruxelles a New York, da Parigi a Calcutta.
Sono creature che sperimentano una vita breve e di scarsa qualità. Alcuni vengono macellati appena dopo 21 giorni, etichettati come “galletti”, mentre la maggioranza raggiunge il traguardo della macellazione a 35 giorni, con solo una piccola percentuale che viene tenuta per ulteriori 10 giorni.
In ogni caso, questi animali non hanno l’opportunità di svilupparsi fino alla maturità. Sono polli estremamente sensibili, che nel corso della prima settimana di vita aumentano il loro peso fino a quattro volte. Questo spiega il loro vorace appetito, poiché mangiano avidamente per accelerare la crescita. Un pulcino che non segue il ritmo degli altri nell’alimentazione rischia di rimanere indietro nello sviluppo, può avere difficoltà ad accedere al cibo e persino sviluppare problemi intestinali che potrebbero risultare fatali.
Polli costretti ad uno spazio piccolo: è una questione di prezzo?
Un’altra critica rilevante riguarda il fatto che i polli a crescita rapida presentano un petto eccessivamente grande e pesante rispetto al resto del corpo, il che li rende poco agili e inclini a muoversi poco. In aggiunta, lo spazio a disposizione è estremamente limitato, costringendo gli animali a stare spesso appiccicati gli uni agli altri. Questa condizione impedisce loro di esprimere i comportamenti naturali tipici dei polli, come passeggiare liberamente, graffiare il terreno, beccare, fare bagni di sabbia, battere le ali o correre. È evidente che conducono una vita difficile, nonostante le etichette sulle confezioni cerchino di trasmettere al consumatore l’illusione di un benessere e di una tranquillità nella vita degli animali.
Va tenuto presente un aspetto significativo: le condizioni di allevamento che consentono prezzi convenienti. L’allevamento intensivo di polli soddisfa una precisa domanda di mercato: produrre carne a basso costo senza prestare molta attenzione al benessere degli animali. Optare per polli allevati in condizioni di benessere comporterebbe un aumento dei costi, che potrebbe non essere accettato da tutti i consumatori.
Tuttavia, in Olanda hanno deciso di non utilizzare polli a crescita rapida e il mercato ha accolto positivamente questo cambiamento. Forse anche nel nostro paese dovremmo iniziare a distinguere chiaramente le diverse tipologie di pollo sull’etichetta, come è stato fatto per le uova, così da permettere al consumatore di fare una scelta consapevole.
Fonte: Il Fatto Alimentare