La Cannabis, nella sua forma consentita dalla legge, ormai è presente in molti preparati da cucina. Da tempo la discussione sull’argomento ha impegnato vari protagonisti del mondo della politica e dell’informazione. Ma almeno per il momento sembra che la chiarezza sia arrivata e le regole ci sono.
Limiti per l’uso della Cannabis
Sono stati infatti stabiliti i limiti per l’uso della Cannabis in cucina. Per esempio l’olio di canapa, che non potrà contenere più di 5 mg di THC per Kg. Gli altri derivati, ovvero i semi di canapa, la farina ricavata dai semi e gli integratori non potranno superare i 2 mg di THC per ogni chilo di prodotto.
Le nuove norme sono state pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale, in seguito al Decreto del Ministero della Salute. Negli allegati del Decreto, per il momento, sono presenti soltanto i prodotti già citati, mentre per tutti gli altri si prevede un costante aggiornamento.
In realtà quello che si trova in commercio nei vari prodotti a base di canapa, non è il THC, ossia la parte “stupefacente” della Cannabis, ma è solo il cannabidiolo, CBD, la parte “innocua”, se così si può dire. Inoltre, anche il CBD è presente in modo talmente irrisorio da essere quasi assente. Gli effetti allucinogeni del Thc invece, si ottengono soltanto con una percentuale superiore allo 0,6 per cento, che è il limite massimo consentito dalla legge italiana.
Dopo anni di lotte e discussioni, oggi è consentito anche coltivarne una modesta quantità in casa, come una qualunque erba officinale. Tutti possono quindi avere la propria piantina di canapa, purché le dimensioni siano modeste ed il prodotto ricavato sia di piccola entità.
Mancano ancora alcune regole che dovrebbero disciplinare tutto il settore della coltivazione per quegli agricoltori che hanno dedicato una parte del loro lavoro alla Cannabis. La Coldiretti ha infatti espresso le difficoltà per le tremila imprese agricole che se ne occupano. In Italia si è passati da 400 ettari coltivati a canapa nel 2013 a 4000 nel 2018.